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a destra Elvira Migliorini moderatore del seminario
Il Comitato Scientifico in videoconferenza con Jo Lebeer - Belgio
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Ministero dellIstruzione dellUniversità e della Ricerca
Progetto ICF Dal modello dellOMS alla progettazione per linclusione
Per un futuro possibile IN ... Rete
Progettare la Qualità di Vita a Scuola secondo ICF:
dai principi e pratiche per DF, PDF, PEI e PDP
alle Linee Guide per l'ICF.
Sabato 15 dicembre 2012
Istituto d'Istruzione Superiore "Ancel Keys"
Castelnuovo CIlento (Sa)
Gentile ministro Profumo,
ci
piace pensare che il suo cognome sia sinonimo del nuovo che chiede il
nostro Paese per i propri figli: aria fresca e pulita per la scuola.
Se
Lei non fosse stato in questi giorni, doverosamente, al Parlamento per
la fiducia al nuovo governo, con umile presunzione siamo certi che
avrebbe iniziato con piacere la sua carriera di ministro dell’Istruzione
qui a Rimini, assieme a 3.000 tra insegnanti, genitori, studiosi,
associazioni, professionisti sociali. Persone che in questi ultimi anni
hanno tenuto duro, non si sono rassegnate alla deriva darwinista, hanno
continuato a lavorare credendo e facendo una scuola buona per tutti.
Non
si confonda se, in apparenza, il tema del nostro convegno — «la qualità
dell’integrazione scolastica e sociale» — potrebbe far pensare a una
nicchia minoritaria, un po’ romantico-buonista, o peggio ancora
specialistica, che si occupa di coloro che per la natura, il destino, il
fato potrebbero essere considerati un peso, un caso assistenziale,
vuoti a perdere, cui una società egoista e impaurita pensa solo con
caratteri compassionevoli.
Non è così: per noi la questione
dell’integrazione non è una parte della scuola, è il centro vitale e
ineludibile del senso dell’educazione nelle moderne società.
Abbiamo
invece avuto il mito perverso di una scuola che, per una maldestra
idolatria del merito e per tagli orizzontali ciechi, rischia oggi di
essere non solo ingiusta per alcuni, ma disintegrativa di tutti, anche
di coloro che si volesse eleggere eccellenti e che in realtà corrono il
pericolo di essere aridi burattini di una società di cattivi e solitari
lupi.
La questione della scuola e del sistema formativo oggi è
l’eccellenza per tutti, è quel cosiddetto «capitale sociale» che si
forma non nelle singole teste degli alunni, magari messi in gara uno
contro l’altro, ma nell’interazione plurale tra stili, attitudini,
desideri, competenze di cui ogni nostro studente è pieno. Pieno e non
vuoto. è nella qualità dell’interazione tra differenze (non in una
formalistica integrazione come somma di sedie riempite da
alunni/studenti) il destino di una scuola che si ponga l’obiettivo delle
cittadinanze sociale e individuale di persone libere, creative,
responsabili, capaci di dare a sé e al mondo un senso di futuro
possibile.
Noi ogni giorno andiamo oltre, oltre anche
la paura che un futuro migliore non sia più possibile, legato ai
fantasmi delle crisi, non solo quelle economiche ma anche quelle ben più
gravi di natura valoriale. Noi non abbiamo paura del futuro e non siamo
neppure tanto disincantati da pensare cinicamente solo al nostro
privato. Sappiamo invece che usciremo dalla crisi, da tutte le crisi, se
saremo uniti.
Ci occupiamo di integrazione scolastica perché
vogliamo cambiare la scuola per tutti e a nome di tutti gli alunni, non
solo di quelli con disabilità.
Non ci piace resistere passivamente,
né indignarci con narcisistico snobismo, né restare a guardare il mondo
dall’alto del nostro ego valoriale soddisfatto.
In questo convegno
abbiamo trattato molto anche questioni concrete sul «che fare»,
riflettendo su processi organizzativi, di sistema, di sviluppo che
rendano concreta la qualità. I toni e gli argomenti sono stati
dialettici, articolati, vivi anche di sfumature e positivi contrasti. Ma
è così che si cresce.
Per la verità, vorremmo dirLe che per superare
molti dei problemi dell’integrazione scolastica e sociale delle persone
con disabilità non ci vorrebbero affatto nuove leggi, né nuovi decreti,
e neppure solo (anche se servono) nuovi e ulteriori fondi. Ci sono già
buone leggi, ma non ci sono corrispondenti buoni comportamenti a tutti i
livelli del sistema scolastico e sociale: dal governo alle realtà
locali, alle scuole, fino alle singole classi. Quando lo scarto tra
leggi e comportamenti non adeguati è così aspro, si corre il rischio del
ridicolo, e non quello di diventare solitari tormentoni del moralistico
dover essere. Noi vogliamo andare oltre anche a questo. Chiediamo a noi
in primis, e a tutti gli altri poi, comportamenti veramente adeguati
alle leggi. Ci dispiace farLe notare che questa sembra un’ovvietà, ma in
questo strano Paese non lo è affatto. Da noi tra il dire e il fare ci
sono di mezzo la politica, l’etica, i soldi, le responsabilità spesso
confuse, retoriche, false. Noi invece puntiamo a comportamenti centrati
sulla responsabilità, individuale e collettiva.
In
questo documento non intendiamo stendere una sorta di cahier de doléance
dei punti critici, né sindacalizzare ogni singolo piccolo interesse di
una qualche categoria. Le proponiamo invece quattro questioni
strutturali, sulle quali siamo pronti a collaborare «oltre la paura e il
disincanto».
1. La questione economica
Ci
fa molto piacere sentire dal presidente del Consiglio Monti che il
governo intende far pagare la crisi a chi finora ha pagato di meno.
Anzi, abbiamo imparato da don Luigi Ciotti, nel suo intervento al nostro
convegno, che si dovrebbe anche far pagare a chi ha rubato il presente e
il futuro di molte parti del nostro Paese.
La scuola, dalla sua parte, ha già dato!
Troppi
alunni per classe, insegnanti mal formati, mal pagati, risorse ridotte
al lumicino non sono una «riduzione degli sprechi», ma semplicemente
spesa differita nel tempo, perché i danni sociali, civili, culturali di
una scuola arida si riverberano nel futuro in una società più stupida.
Vorremmo che Lei lavorasse con noi a stimare i costi dell’ignoranza, che
sono molto alti. Alti come i costi causati dal pericolo di una deriva
sociale, dai giovani che rischiano di restare senza un futuro, che non
sia quello di seguire le strade perverse proprio di coloro che rubano il
futuro al Paese.
Ma sappiamo che la scuola non ha bisogno di
finanziamenti a pioggia: noi vogliamo osare proporLe la capacità
selettiva e qualitativa di una politica economica che non sia meramente
distributiva (come meramente orizzontali sono stati i tagli) ma di
sostegno e sviluppo dei punti reali di qualità e di difficoltà.
La
scuola è un investimento, che deve essere pensato e gestito come fa il
buon contadino che compra buoni semi, usa buon concime, cura con amore
la terra perché i frutti siano buoni nell’estate dei nostri figli. Ma
per fare questo estirpa anche la gramigna.
2. La scuola come opportunità civile per tutti
Una
scuola delle opportunità educative per tutti pensa al futuro e va oltre
la paura. Il futuro già presente oggi ci parla di un forte aumento
dell’eterogeneità sociale, individuale, economica, esistenziale dei
nostri alunni. Non vogliamo correre il rischio di continuare a separare i
bambini per categorie ognuna titolare di un cosiddetto «problema» o
«disturbo». Tale eterogeneità chiede invece oggi non solo meno
alunni/studenti per classe, ma un approccio aperto alle ricerche
didattiche e all’organizzazione curricolare: flessibilità, competenza
creativa, insegnanti come comunità professionale e non solitari esegeti,
«capitale sociale» dove tutti gli alunni/studenti, ognuno con la sua
identità, si facciano colleghi, maestri e allievi dei compagni. In
questa nuova eterogeneità sociale, figlia della globalizzazione, anche
l’integrazione dei nostri alunni/studenti con disabilità prende nuova
spinta: non è una nicchia a sé, da trattare con la compassione, e
neppure nei tribunali, ma uno dei punti forti delle relazioni che aiuta
tutti a crescere. Per questo ci piace provare a fare integrazione con
una prospettiva che sappia anche eliminare la G, e consideri
interessante l’integrazione — appunto — come interazione tra tutti.
Non
abbiamo dunque timori a chiederLe di lavorare per un metodo di
valutazione dinamico del nostro sistema scolastico, smettendola di
valutare in una specie di gara tra poveri; un metodo capace di aiutare
chi fa fatica a trovare la strada migliore, che riconosca le scuole di
eccellenza come buone pratiche da socializzare e condividere. Riteniamo
anche sia urgente saper riprendere una ricerca pedagogica e didattica
oggi desueta, perché soffocata dalla numerologia valutativa che provoca
nel nostro Paese non una seria docimologia, ma solo una docimologia
dannosa.
In questo scenario aperto, abbiamo molte cose da osare
ancora, sapendo che la scuola o sarà capace di armonizzare le
eterogeneità senza condizionare nessuno, o sarà solo un tritacarne
selettivo, nuovo strumento di darwinismo sociale.
3. Gli insegnanti
Sugli
insegnanti, gentile ministro, vorremmo proporre almeno una moratoria
sulle tante/troppe chiacchiere circa il loro valore o il loro fare o non
fare nulla. Gli insegnanti, come tutti gli esseri umani, hanno bisogno
di uno scopo e di un sogno, nel loro caso professionale e civile.
Per
questo lavoriamo per una revisione positiva di questo profilo, partendo
dalla considerazione che il docente deve interagire con
l’alunno/studente in quanto persona e non perché appartenente a
determinate categorie. Questa relazione ci obbliga a superare
artificiose distinzioni e separazioni tra insegnanti di sostegno e
insegnanti curricolari, per una effettiva corresponsabilità e
partnership educativa del progetto che è di tutta la classe. Consente
invece — e finalmente — di affrontare la classe come comunità e non come
semplice somma di individui. Una positiva interazione tra tutti gli
insegnanti e tutti gli alunni/studenti permette un fare scuola ponendo
il cosiddetto «programma scolastico» nella giusta dimensione di
strumento e non di fine. Insomma, è giunta l’ora, dopo un secolo e più
di disillusioni, di affermare chiara e forte l’esigenza di rivedere la
formazione iniziale degli insegnanti sotto l’aspetto della pedagogia
come «scienza primaria della professione docente», cioè come
precondizione di ogni didattica generale e disciplinare. La
reintroduzione della formazione in servizio obbligatoria diventa,
ovviamente, un tassello ineludibile. La formazione obbligatoria per
tutti, pur con la dovuta concertazione sindacale, deve avere il coraggio
della radicalità diventando un dovere professionale «normale» a cui non
si può rinunciare. Da qui ne derivano le giuste forme di incentivazione
e di riconoscimento nello sviluppo della carriera professionale, non
necessariamente solo economiche.
Noi non temiamo, anzi chiediamo una
seria valutazione dei processi formativi, che non può non comprendere
anche una onesta e rigorosa valutazione degli insegnanti, non per
spirito di punizione e neppure di competizione, ma perché sono attori
molto importanti del successo o meno della formazione.
Una
scuola che investe sulla formazione ha il dovere di mettere in campo,
strutturalmente, un percorso valutativo sull’efficacia e l’efficienza
dei risultati che preveda un coinvolgimento anche delle famiglie come
dirette interessate, nella prospettiva di recuperare la partecipazione
di tutti in quanto migliora ogni singolo componente della comunità
educativa, senza darsi reciprocamente i voti.
4. L’integrazione, l’autonomia e il territorio
E,
infine, gentile ministro, richiamiamo la Sua attenzione sul fatto che
una buona integrazione scolastica e sociale non la fa il ministero ma il
territorio. L’integrazione è un processo a valore orizzontale, in cui
scuola, famiglia, servizi sociosanitari, volontariato, enti locali sono
attori di qualità se sanno integrarsi e interagire tra di loro. Noi
vogliamo andare oltre le pigrizie, le deleghe dall’alto, e puntare,
osare, per una massima valorizzazione degli aspetti orizzontali
dell’integrazione.
Quindi: Le chiediamo vivamente di restituire
l’autonomia alle scuole, quell’autonomia soffocata sul nascere e che per
anni è stata mortificata da una gestione centralistica, che ha bloccato
la creatività pedagogica, la libertà didattica. Abbia fiducia nelle
scuole e nei suoi operatori.
Abbia fiducia nei loro
dirigenti scolastici, troppo spesso in questi anni ridotti a sergenti
del ministero, di cui ci piace segnalarLe la necessità di dotarli del
più importante carisma oggi chiesto a un buon dirigente scolastico: il
carisma pedagogico, non solo quello meramente organizzativo. Quindi
anche per loro la formazione permanente è decisiva.
Se mortificate
dal centralismo le nostre scuole inaridiscono, se valorizzate
nell’autonomia fioriranno. E non abbia paura, in cambio di molta
autonomia restituita alle scuole, di attivare un sistema di controllo,
monitoraggio e valutazione, che abbia valore di sviluppo, ma che non
abbia paura di punire chi sbaglia o non fa.
Altrettanto La preghiamo
di valorizzare la crescita di una governance territoriale in cui tutti
si sentano vincolati e obbligati dal dovere di collaborare, senza
supremazie l’uno sull’altro, ma nella considerazione che ciò che conta
davvero sia quel «progetto di vita», che comincia con la nascita, si
sviluppa a scuola, e nell’età adulta ha un vero successo se parla di
lavoro e di vera cittadinanza sociale per tutti.
Il progetto di vita è
di titolarità di ogni persona, in particolare di quella con disabilità,
cui va dato protagonismo, partecipazione, autodeterminazione e, da
parte di tutti gli operatori, quell’umana simpatia e rispetto tali da
non diventare noi, operatori del territorio, la loro vera e principale
barriera.
Gentile ministro, La preghiamo di tirar fuori dai cassetti,
dove è stata dimenticata, per applicarla con urgenza, la preziosa
Intesa Stato/Regioni del 20 marzo 2008 proprio sull’integrazione delle
competenze territoriali, la governance locale e la semplificazione della
burocrazia certificativa. Come vede, non c’è da inventarsi molto di
nuovo.
Ciò vuol dire anche governance tra ministeri,
perché sanità, welfare e istruzione siano partner di un processo di
qualità della vita per tutti, restituendo al territorio autonomia e
responsabilità.
L’autonomia e la responsabilità chiedono venga
ripristinato l’Osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica e
sociale, meglio ancora se in modo interministeriale.
Le auguriamo
buon lavoro, sappiamo che sarà dura. Crediamo però che nessuna
difficoltà sarà insormontabile se sarà presente in Lei e in noi una
visione generale delle cose, una visione che vada oltre il presente, che
sappia osare, desiderare. Progettare il futuro, con il coraggio di
andare oltre la paura.
E infine, gentile ministro, Le vorremmo
offrire un piccolo ma essenziale promemoria che parte dal nome. Il nome
del ministero italiano che si occupa di formazione/educazione/istruzione
è sempre ambiguo e cambia con le epoche politiche. Ci piacerebbe
proporLe, questa volta, di chiamarlo «Ministero del futuro». A cui
aggiungeremmo, per passione civile, «pubblico». Cioè buono, ovviamente,
per tutti.
Scarica qui il pdf della Mozione finale
La direzione scientifica,
i 200 relatori
e i 3.000 partecipanti
dell’VIII Convegno Internazionale
«La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale».
Rimini, 20 novembre 2011